“Assassini”, “terroristi”: il Pride di Roma respinge gli ebrei LGBTQ
Altro che “safe space”: il coraggio degli ebrei LGBTQ italiani, che hanno marciato al Roma Pride sotto scorta nonostante insulti e minacce.
C’era un carro, al Roma Pride del 14 giugno, che non ha ricevuto la stessa accoglienza degli altri. Si tratta del carro degli ebrei LGBTQ, bersaglio di insulti, gesti minacciosi e un’ondata di odio online, a dimostrazione di quanto oggigiorno sia difficile e pericoloso essere visibilmente ebrei in molti spazi queer.
Nei giorni successivi alla parata, ho raccolto le testimonianze di diversi organizzatori e partecipanti, che mi hanno raccontato delle aggressioni subite: persone che mimavano il gesto della pistola con le mani, insulti come “assassini” e “terroristi”, e almeno un caso di saluto romano. Alcuni hanno anche tentato di avvicinarsi al carro in modo aggressivo, ma sono stati fortunatamente fermati dalla scorta (assunta privatamente).
Anche sui social, sotto le foto e i video del carro ebraico, commenti violenti e antisemiti, come “l’arroganza di questi ebrei è insopportabile”, “non dovevano proprio esserci”, “gloria a Hamas”. Molti si sono riferiti al carro come “il carro israeliano”, nonostante rappresentasse chiaramente gli ebrei LGBTQ italiani e non avesse alcun legame con lo Stato di Israele.
Il carro è stato organizzato dal gruppo LGBTQ ebraico Keshet Europe, che nei giorni precedenti all’evento ha affrontato notevoli sfide legate alla sicurezza. Gli organizzatori hanno assunto una scorta privata per il gruppo e si sono coordinati coi responsabili della parata e con la Digos. Ai partecipanti è stato chiesto di rimanere sempre sul carro e di non reagire ad alcuna provocazione.
“La decisione di partecipare al Pride in queste condizioni è stata molto pesante, abbiamo ricevuto tante telefonate da persone che ci avvertivano dei rischi che avremmo corso”, mi ha detto Ariel Heller, ventotto anni, neo-eletto presidente di Keshet Europe. “Abbiamo temuto per la nostra incolumità, e non penso che nel 2025 le persone ebree debbano essere scortate, soprattutto in un ambiente che dovrebbe essere un safe space per tutti. È allucinante”.
Il gruppo comprendeva partecipanti arrivati da diversi Paesi europei e ha sventolato le bandiere arcobaleno con la stella di David—la bandiera che in tutto il mondo, anche qui a New York, rappresenta gli ebrei LGBTQ.
“Abbiamo subito insulti, fischi, gravi accuse, e siamo stati seguiti da alcune persone per tutta la parata che ci contestavano in modo aggressivo, delegittimando la nostra identità queer e accusandoci di pinkwashing per conto del governo israeliano,” mi ha detto Ruben Piperno, uno degli organizzatori, trentuno anni, torinese.
Piperno ha raccontato che, nei giorni precedenti alla marcia, il gruppo ha provato molta ansia. L’anno scorso — in seguito all’ondata di antisemitismo scatenata dall’attacco del 7 ottobre 2023 in Israele e della risposta dell’esercito israeliano a Gaza — gli organizzatori avevano rinunciato a partecipare alla manifestazione.
“Il giorno stesso, appena saliti sul carro, la tensione era altissima”, ha detto Piperno. “Sapevamo che essere lì era la scelta giusta, ma anche che avrebbe potuto costarci caro. Ogni nostro gesto rischiava di essere interpretato come una provocazione, una miccia pronta ad accendersi”.
Verso la fine della parata, il momento di massima tensione. Una giovane oratrice del carro ARCI è stata filmata mentre attaccava verbalmente i membri del gruppo ebraico, insultandoli, chiedendo di abbassare le bandiere con la stella di David e gridando che non avevano diritto di essere lì. (Secondo i membri del gruppo, la donna sarebbe tra le organizzatrici della presentazione di un un libro di un leader di Hamas alla Sapienza, evento poi non avvenuto).
“Questo ha scatenato una reazione immediata del pubblico attorno a quel carro, con diverse persone che si sono avvicinate in modo minaccioso. A quel punto, la nostra sicurezza è salita sul carro e ci ha ordinato di lasciare rapidamente la zona”, ha detto Piperno.
Nei giorni precedenti all’evento, gli organizzatori del Pride avevano previsto cinque minuti di silenzio durante la manifestazione per onorare le vittime a Gaza. Heller e Piperno confermano di aver spento la musica sul loro carro. Eppure, la voce che si fossero rifiutati di osservare il silenzio si è diffusa rapidamente, e diverse testate italiane hanno riportato la notizia come se fosse vera.
Gli organizzatori del Roma Pride avevano anche pubblicato un manifesto politico in cui condannavano la campagna militare di Israele a Gaza. Il testo accusava il governo israeliano di puntare “all’annientamento di un popolo” e chiedeva un cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi israeliani e la ripresa dei negoziati di pace.
Lo stesso manifesto esprimeva solidarietà alle comunità oppresse e auspicava “una società basata sull’uguaglianza, il rispetto e la solidarietà”.
Ma per i partecipanti ebrei, l’esperienza sul campo è stata ben lontana da quei nobili princìpi. Forse l’anno prossimo il Roma Pride dovrebbe includere nel manifesto anche una netta condanna all’antisemitismo.
“Fin dal 1994 — ma anche prima — attivisti come Mario Mieli, Corrado Levi, Gabriele Coen hanno fatto la storia del movimento”, ha detto Heller. “Buttarci fuori sarebbe buttare fuori un pezzo della storia LGBTQ italiana”.
Al termine della parata, Heller ha lodato il gruppo, definendolo “l’organizzazione ebraica più coraggiosa” del giorno d’oggi.
“Quello che abbiamo fatto, rischiando la nostra incolumità, è stato fantastico e manda un messaggio chiaro”, ha detto. “Spero che la nostra organizzazione faccia da ponte per il dialogo tra il movimento LGBTQ e le comunità ebraiche, entrambe comunità che vivono discriminazioni”.